Se sei arrivato su questo articolo del nostro blog, probabilmente sei tra i tanti che oggi si chiede “ma gli hashtag servono ancora?“. Ebbene, la risposta è si ma vanno fatte delle precisazioni. Nel 2025, non basta più piazzare una ventina di parole precedute dal cancelletto sotto ogni post per ottenere visibilità. L’algoritmo non è più così banale e negli anni è diventato molto più esigente, così come le varie piattaforme si sono evolute ma soprattutto gli utenti son diventati molto più selettivi. Ecco perché abbiamo pensato di scrivere questo articolo che vuol essere una sorta di guida pratica e aggiornata per utilizzare al meglio gli hashtag sui vari social e per evitare errori comuni come lo shadowban.
Indice dei contenuti
- Hashtag su Instagram nel 2025: “meglio pochi ma buoni”
- TikTok: nel 2025 gli hashtag e l’algoritmo vanno a braccetto
- Linkedin e Hashtag nel 2025: “less is more”
- E su Facebook? La verità è che gli hashtag non servono più
- Strumenti per analizzare gli hashtag nel 2025
- Utilizzo degli Hashtag: in sintesi e per concludere
Hashtag su Instagram nel 2025: “meglio pochi ma buoni“
Cominciamo dal social degli hashtag per eccellenza e cioè Instagram. In passato, vigeva la regola del “usa tutti i 30 hashtag disponibili, mettili nei commenti, insomma l’importante è che ci siano”. Oggi, quella regola non vale più e l’approccio da tenere è decisamente più raffinato.
Oggi, Instagram predilige la rilevanza: non ha più alcun senso inserire hashtag generici come “#picoftheday”, perché non funzionerebbero; quello che funziona davvero è un piccolo gruppo di hashtag, ben selezionati, che descrivano con precisione il contenuto dell’immagine e che abbiano una competizione equilibrata.
Il numero ideale di hashtag – dati alla mano derivanti dai test di alcuni professionisti di settore – è di 3-5 purché siano ben mirati e inseriti nella caption (non nei commenti!).
Il motivo – come accennato – è semplice: l’algoritmo pretende di capire immediatamente di cosa parla il tuo contenuto, motivo per cui se gli hashtag sono coerenti, la spinta organica sarà maggiore; al contrario, se invece sono generici e ripetuti da post a post (o addirittura bannati), allora il rischio è quello di essere penalizzati in visibilità o, nel peggiore dei casi, bannati.
Shadowban: cos’è e perché devi farci attenzione
Il termine shadowban è salito alla ribalta qualche anno fa ma resta – ahimè – molto attuale giacché si tratta di una realtà che penalizza molti account. In sintesi, quando vieni shadowbannato, i tuoi post non vengono più mostrati nei vari feed pubblici, nemmeno ai tuoi followers. Tecnicamente restano visibili sul tuo profilo ma diventano invisibili all’algoritmo.
Il problema è che spesso non te ne accorgi subito, motivo per cui è molto importante il monitoraggio delle performance.
Nel 2025, i fattori che possono causare uno shadowban possono essere diversi: l’uso ripetuto degli stessi hashtag, l’inserimento di parole sospette (considera che ci sono vere e proprie liste di hashtag vietati, alcuni dei quali non sospettabili, come “beautyblogger” o “elevator”), oppure l’utilizzo di app esterne non autorizzate per l’automazione dei post o delle interazioni (il cosiddetto mercato dei followers).
Per evitare ogni rischio, come già detto, meglio monitorare le performance, ruotare gli hashtag ed evitare di usarne di generici. Qualora riscontrassi un calo improvviso, puoi provare a fare un test chiedendo a qualcuno di cercare i tuoi contenuti attraverso un hashtag che hai utilizzato: se non li trova, sei in shadowban e quello che devo fare è molto semplice: sospendi le pubblicazione per 48/72 ore e poi riparti con hashtag nuovi.
TikTok: nel 2025 gli hashtag e l’algoritmo vanno a braccetto
Se su Instagram la scelta degli hashtag deve essere precisa e contestuale, su TikTok la storia cambia: qui, infatti, si tratta più che altro di sinergia con i trend del momento. Ma attenzione, anche in questo caso non devi inserire una decina di hashtag virali a caso. Anche TikTok ha un suo algoritmo, abbastanza sofisticato, che analizza ogni parola chiave, suono, testo e didascalia.
I video che compaiono nella sezione “Per Te” sono stati riconosciuto da questo – appunto – algoritmo come pertinenti ad un determinato interesse. Gli hashtag intervengono in aiuto proprio a questo e cioè a classificare il contenuto e a mostrarlo a chi potrebbe interagirci. Il numero ideale è tra i 4 e i 6 hashtag, creando un mix tra quelli di tendenza, parole chiave e hashtag personalizzati.
Anche su TikTok è possibile incappare in shadowban, spesso per via di hashtag sensibili o contenuti considerati borderline. Quando il tuo contenuto riceve molte visualizzazioni nei primi minuti e poi crolla bruscamente, potrebbe esserci una penalizzazione in atto. In quel caso vale la regola del silenzio stampa: una pausa di 2-3 giorni e poi si riparte, possibilmente con contenuti nuovi e hashtag rivisitati.
Linkedin e Hashtag nel 2025: “less is more”
Linkedin, nato semplicemente come il “social professionale”, oggi – pur mantenendo questo ruolo – sta diventando sempre più simile ad un motore di ricerca. Su questo social, gli hashtag non hanno di sicuro la funzione di contribuire alla viralità di un contenuto, ma bensì quella di aiutare a farsi trovare da persone in target, soprattutto recruiter, colleghi o potenziali clienti per la tua azienda.
Qui la regola d’oro è la pertinenza, motivo per cui bastano 3-5 hashtag ben selezionati per ciascun post: hashtag di settore,di ruolo o brandizzati (col nome della tua azienda).
Un consiglio utile per chi crea contenuti regolarmente su LinkedIn è quello di seguire gli hashtag che utilizza. Questo permette di vedere quali post performano meglio, con quali hashtag si generano più visualizzazioni e con quali si attivano conversazioni interessanti. E qui entra in gioco anche il monitoraggio.
E su Facebook? La verità è che gli hashtag non servono più
Quando si parla di hashtag, molti si chiedono: “E su Facebook? Devo usarli anche lì?” La risposta, oggi più che mai, è: no, non servono. O meglio, non apportano alcun beneficio concreto in termini di visibilità o interazione.
Facebook ha introdotto gli hashtag nel 2013, sulla scia del successo di Twitter e Instagram, ma l’esperimento non ha mai davvero funzionato, anzi è completamente fallito. A differenza di altre piattaforme, su Facebook le persone non cercano contenuti attraverso hashtag. Non li cliccano, non li seguono, e spesso nemmeno li notano. Gli utenti di Facebook interagiscono principalmente con i contenuti pubblicati da amici, familiari, gruppi e pagine che seguono abitualmente.
Nel 2025 questa tendenza si è consolidata. Gli algoritmi di Facebook si basano su comportamenti e interessi, non su hashtag. Aggiungerli sotto un post, nella migliore delle ipotesi, non serve a nulla. Nella peggiore, può rendere il contenuto meno autentico, quasi “scopiazzato” da Instagram, facendo perdere credibilità alla comunicazione.
Inoltre, utilizzare gli hashtag su Facebook può trasmettere un’immagine poco professionale, soprattutto se il pubblico della pagina è composto da utenti abituati a uno stile più semplice e diretto. Meglio concentrarsi sulla qualità del contenuto, sulla coerenza del messaggio e sull’engagement autentico.
Insomma, lascia perdere gli hashtag su Facebook.
Strumenti per analizzare gli hashtag nel 2025
Onde evitare di cadere nell’improvvisazione, che è quanto di peggiore possa esserci per chi lavora coi social, è bene prendere in considerazione alcuni strumenti specifici per l’analisi degli hashtag.
Nel 2025 i più utilizzati sono lick, RiteTag e IQ Hashtags. Si tratta di tool che permettono di verificare la popolarità di un hashtag, la sua competitività e persino se è stato bannato. Questi tool suggeriscono alternative più efficaci in base al tuo settore e aiutano a costruire raccolte di hashtag da usare e ruotare nel tempo.
Ma, quasi banalmente, anche la barra di ricerca di Instagram è una fonte preziosa. Ti basta digitare un hashtag per vedere quanti post lo contengono: quelli con meno di 10.000 post sono troppo di nicchia, sopra il milione rischiano di essere dispersivi. Il range ideale? Tra i 50.000 e i 500.000 post, ovviamente in base alla tua audience.
Infine, non dimenticare gli analytics interni delle piattaforme. Instagram, TikTok e LinkedIn offrono dati specifici su copertura, interazioni e crescita legata ai singoli contenuti: sfruttali per capire quali hashtag funzionano meglio e quali invece vanno “mandati in pensione”.
Utilizzo degli Hashtag: in sintesi e per concludere
Abbiamo visto come non esiste una regola fissa e universale per l’utilizzo degli Hashtag sulle varie piattaforme: ognuna di esse ha le sue regole e le sue logiche, motivo per cui l’approccio deve essere personalizzato per ognuna di esse.
Su Instagram, punta sulla coerenza e sulla rilevanza. Su TikTok, ascolta i trend e costruisci una narrazione che parli il linguaggio dell’algoritmo. Su LinkedIn, lavora con precisione chirurgica: ogni parola chiave è un’opportunità per posizionarti nel modo giusto.
E se hai bisogno di un supporto strategico per costruire la tua presenza social in modo professionale, noi di Parrotto Web Solution siamo qui per aiutarti, contattaci!